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Il bel silenzio

E’ il silenzio ancora una volta che colpisce. Anche chi, come me, li conosce bene ed ha il privilegio di godere di una vera amicizia. E come amico ne conosce il carattere schivo e modesto, inversamente proporzionale alla terrificante determinazione e talento che li possiede. Ne conosce il principio ispiratore: prima fare e poi raccontare. E non l’inverso, come alcuni loro colleghi – a volte con sprezzo del ridicolo – fanno.  Ne conosce il percorso limpido e coerente, alpinistico e di vita. 

Siamo costantemente cannoneggiati, in ogni ambito della nostra vita, da dichiarazioni, conferenze, tweet, pensieri non richiesti, stati d’animo, rivelazioni, illuminazioni, annunci ad effetto sui supposti benefici del fare ma ancor più del blaterare. Una cacofonia che scandisce ogni attimo delle nostre giornate e impedisce ormai ogni distinzione tra il vero filosofo e il puro coglione.   

“Un popolo che sia capace di ricostruire il silenzio dalla simulazione di un sogno”, canta splendidamente Ivano Fossati. Ecco, sarebbe bello che fossimo tutti capaci, come hanno fatto Nives e Romano, di ricostruire questo bel silenzio partendo da un sogno. Che altro era se non la simulazione di un sogno il loro tornare a salire fino in cima quella montagna che li aveva sorretti nella discesa terribile della prima volta ? E che altro è se non la simulazione di un sogno silenzioso l’alpinismo d’alta quota stesso, con tutte le sue allucinazioni e voci inesistenti, con la progressione rallentata dall’ipossia proprio come accade nei sogni, quando si vuole correre e ci si sente trattenuti ?

 

Nives e Romano hanno scelto ancora una volta di agire in silenzio e poi di dire. Di arrivare – in anticipo sugli altri come spesso gli accade – in vetta e poi, una volta scesi, mandare poche laconiche righe per dire: beh sì, siamo arrivati in cima al nostro dodicesimo ottomila, senza ossigeno e senza sherpa, ma questo lo sapete.  E’ la loro cifra, il loro stile, non per mostrarsi snob o altezzosi. Semplicemente loro fanno così, meglio: sono così. Da sempre.

E questa volta si trattava non di una montagna qualsiasi, ma della montagna inseguita per ben tre volte: quel Kanchenjunga che ha segnato un vero e proprio stacco nella loro vita di alpinisti e di coppia. E’ li che a Romano si è rivelata  la sua malattia; è lì che ha iniziato la sua discesa materiale e spirituale nel tunnel cupo delle cure; ed è li che Nives ha scelto di non salire per aiutarlo a scendere e stargli a fianco.

Avevano già tentato nel 2012 la salita del Kanch, dopo la guarigione di Romano, senza però riuscire a raggiungerne la vetta.  Ma, a parte qualche strascico, si vedeva che tutto era tornato pian piano a girare come se non meglio di prima: gambe, polmoni e testa. Per poco non ce l’avevano fatta e si era capito che era solo questione di tempo. Un tempo ritrovato fatto di alpinismo e vita di tutti i giorni, con la coscienza di poter fare di nuovo programmi, fissare date e luoghi, per una cena o una spedizione. Per concedersi un lungo viaggio o il lusso placido della noia. 

 

L’appuntamento rimandato si è realizzato sabato scorso a mezzogiorno. Non so esattamente quali pensieri si siano affastellati loro in mente una volta in vetta, posso solo immaginarli. Ed è giusto così. Non ci sono dettagli tecnici da riferire, emozioni in diretta da raccontare su qualche blog o pagina facebook. Tutte le emozioni così forti hanno bisogno di essere digerite e assimilate e Nives e Romano lo sanno meglio di chiunque altro. Chi ha potuto assistere ad una loro serata sa quanto siano bravi a trasmettere le grandi onde di sensazioni che vivono sui colossi himalayani, con le immagini e soprattutto con le parole. E le parole hanno davvero bisogno di misura e di costruzione, di essere create con cura per arrivare dritte al cuore ed alla mente di chi ascolta. Hanno bisogno di un bel silenzio per nascere. Il resto è solo rumore.

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