Alpinismo e doping
La parola inglese “doping” (dall’olandese doop, salsa) indica l’assunzione di sostanze chimiche eccitanti e/o stimolanti - naturali o sintetiche - atte ad aumentare le prestazioni fisiche o psico-fisiche di una persona. Nel caso specifico dello sport ovviamente il doping è associato all’aumento di prestazioni durante le competizioni.
Ora, in alpinismo – a parte il discorso particolare che riguarda le gare di sci-alpinismo e arrampicata sportiva – non esistono competizioni con regole precise uguali per tutti (ciò che caratterizza una competizione propriamente detta) e quindi parlare di doping in senso sportivo non avrebbe molto senso. L’alpinismo stesso non si può definire uno “sport” in senso stretto, ma su questo tema si potrebbero organizzare convegni…
Però per comprensibilità si può mantenere l’uso del termine doping riferito all’alpinismo – soprattutto, è ovvio, quello in alta quota – usandolo in senso letterale e in senso lato.
In senso stretto – e più tecnico - possiamo considerare doping:
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L’utilizzo di sostanze stimolanti di vario tipo, dalle anfetamine fino alla cocaina, utilizzate storicamente nelle spedizioni d’alta quota. Basti pensare al Pervitin (l’anfetamina dei piloti di guerra) di Hermann Buhl al Nanga Parbat o alla simpamina degli italiani al K2. Queste sostanze abbassano la soglia di percezione della fatica e perciò consentono di prolungare il periodo di attività in termini di prestazione fisica significativa.
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L’utilizzo di sostanze che facilitano in qualche misura l’acclimatamento, dai diuretici a quei farmaci che hanno impatto “benefico” di abbassamento dell’ipertensione arteriosa (anche polmonare), uno degli effetti della permanenza in alta quota; tra questi il più conosciuto è sicuramente il Diamox, largamente usato, ma lo stesso effetto possono avere anche Viagra e Cialis (ben più conosciuti per altri effetti secondari…)
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L’utilizzo di ossigeno. Questo è estremamente utilizzato ed “accettato”, anche se proprio per questo pone le maggiori problematiche di tipo etico.
Mentre gli stimolanti sono riconosciuti in genere dalla comunità alpinistica come aiuti non accettabili o perlomeno discutibili, in quanto del tutto analoghi al doping sportivo – oltre ad avere rischi molto elevati in caso di abuso o cattiva “gestione” - tutto ciò che agevola l’acclimatamento e migliora la permanenza in quota è considerato un metodo valido per ridurre i rischi a livello di prevenzione ed è pertanto generalmente accettato.
Occorre comunque tenere presente che diuretici e soprattutto ossigeno agevolano nettamente una salita, che perde di valore oggettivo se confrontata con l’impresa di chi non ne fa uso.
Quindi eticamente rimangono pratiche discutibili.
In senso lato – allargando quindi molto il concetto di “aiuto artificiale”- possiamo considerare “doping” tutti quei supporti e servizi che facilitano direttamente o indirettamente la preparazione, l’effettuazione e la conclusione della salita agli alpinisti. In particolare si possono identificare:
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Corde fisse.
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Corde fisse pre-allestite.
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Sherpa d’alta quota.
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Campi pre-allestiti.
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Previsioni meteo computerizzate.
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Assistenza di Guide Alpine.
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Avvicinamenti, trasferimenti e soccorsi agevolati dall’elicottero.
Questi aspetti coinvolgono sempre la struttura logistica ed organizzativa della spedizione e della salita. Credo che si possano identificare a questo riguardo quattro livelli crescenti di “aiuto”.
Livello 1. E’ quello dell’alpinista singolo, magari anche esperto o professionista, che per scelta e/o esigenze varie sceglie di salire in coppia con uno sherpa d’alta quota anziché con un compagno di salita suo pari. E’ chiaro che mediamente l’aiuto di uno sherpa esperto, allenato e geneticamente predisposto per la quota, agevola decisamente tutte le fasi della salita di qualsiasi alpinista, più o meno esperto. Lo sherpa infatti:
a) attrezza le corde fisse;
b) monta i campi alti;
c) può cucinare e sciogliere neve ai campi alti;
d) può assistere l’alpinista negli eventuali tratti più tecnici e difficili della salita;
e) trasporta più peso in alta quota;
f) può trasportare l’eventuale ossigeno;
g) aumenta decisamente la sicurezza durante la discesa, cioè il momento di maggior pericolo di un’ascensione in quota.
E’ ovvio che anche questa è una schematizzazione, e vi sono casi in cui lo sherpa è un vero e proprio semplice compagno di salite con cui condividere fatiche e gioie, ma rispecchia abbastanza fedelmente molte situazioni in cui ho lavorato personalmente.
Livello 2. E’ quello degli alpinisti che preparano la salita con l’aiuto di sherpa – in media uno sherpa ogni due persone - e predispongono la dislocazione di ossigeno a scopo medicale (ma non per la salita) nei campi strategici e magari camera iperbarica portatile (base, penultimo ed ultimo campo). E’ ovvio che la consapevolezza di poter contare su ossigeno d’emergenza in caso di bisogno, cambia il livello di rischio e quindi in un certo grado anche le prestazioni degli alpinisti che possono pensare di osare un poco di più.
Livello 3. Qui oltre a sherpa, camera iperbarica ed ossigeno medicale, gli alpinisti decidono di usare l’ossigeno anche durante la salita, solitamente dall’ultimo (a volte penultimo) campo alla vetta e quindi in discesa almeno fino al campo dove ne è iniziato l’utilizzo. Spesso il rapporto numerico con gli sherpa diventa 1:1, ed essi assistono personalmente ciascun alpinista durante la salita. I campi e le corde fisse vengono attrezzati per lo più dai soli sherpa che trasportano su e giù materiali e ossigeno e montano i campi.
Livello 4. E’ quello delle spedizioni commerciali. Gli alpinisti sono assistiti completamente da Guide Alpine in ogni fase della salita. C’è l’utilizzo di ossigeno anche per l’acclimatamento ai campi più bassi e per dormire; gli sherpa sono solitamente due per ogni partecipante ed assistono in toto gli alpinisti, dal base alla vetta e ritorno; c’è sempre un sistema di previsione meteorologica. A volte vi è perfino un medico a disposizione.
Come per tutte le schematizzazioni, nei vari livelli intervengono ovviamente alcune variabili che qui non sono state inserite per esigenze di spazio, come l’assunzione dei farmaci o sostanze citate sopra o l’utilizzo di elicottero per logistica e/o soccorso.
Riguardo l’elicottero, per il livello 1 (soprattutto nel caso di professionisti) e per il livello 3, Questo si può considerare “agevolante”, anche se può presentare inconvenienti per quanto riguarda l’acclimatamento nel caso di una sola spedizione. Diventa però determinante in caso di concatenamenti. Per il livello 2 e 4 l’elicottero non è solitamente un ausilio applicabile per motivi diversi: nel primo caso si tratta spesso di team non professionistici che non possono sobbarcarsi i pesanti costi accessori di un elicottero; nel secondo caso la complessità e dimensione organizzativa di una spedizione commerciale non consente proprio l’utilizzo di elicotteri.
Per tutti i livelli comunque la consapevolezza della possibilità o meno di un soccorso con elicottero, cambia la valutazione del rischio che l’alpinista tende ad assumersi.
I concetti espressi qui non vogliono essere un giudizio sulle scelte personali degli alpinisti che affrontano le salite in alta quota – anche se ovviamente un’opinione personale ben precisa me la sono fatta in venticinque anni di frequentazione himalayana – ma vorebbero essere una piccola provocazione utile ad accendere una qualche discussione all’interno della comunità alpinistica in un tentativo di salvaguardare l’anima dell’Avventura sulle grandi montagne del mondo. L’uso sapiente e misurato di certi supporti farmacologici o di ossigeno in caso di emergenza, così come delle tecnologie moderne a disposizione nel campo della comunicazione e delle previsioni meteo, è senz’altro un segno di progresso estremamente positivo. Molto pericolosa è invece l’illusione – così come certa enfasi in tempi recenti sui “soccorsi” himalayani - che negli ambienti selvaggi dell’alta quota questi supporti possano sostituire una preparazione e un allenamento rigorosi e una lunga, seria esperienza alpinistica. Non riconoscere queste regole base vorrà dire per un alpinista trovarsi prima o poi in qualche guaio serio.